About the Book
Tra civiltà e apocalisse, tra decadenza e progresso, c'è un'isola-che-non-c'è, un "prima" e un "dopo" che spaventa o che inspiegabilmente attrae. Gli storici lo chiamano Preistoria, gli ambientalisti Wilderness, i filosofi Utopia, ma più che uno spazio nel tempo o un tempo nello spazio è un modo di vedere il mondo per intuizioni, per lampeggiamenti, un sistema incoerente di visioni e d'idee che aiuta a pensare l'adesso-qui. Questo "paradigma Pleistocene", da Giordano Bruno a Paul Shepard, da Lascaux a Keith Haring, attraversa in modo trasversale il pensiero scientifico, filosofico, religioso, emerge nell'arte e nelle abitudini alimentari, e si riassume in un'idea indimostrabile: noi siamo chi eravamo, fatti per muoverci e per stare fuori, siamo memoria genetica e incarnazione attuale dell'uomo del Paleolitico, i nostri gesti, i nostri processi cognitivi sono abitati dai suoi. Mobilità, leggerezza, manualità, ricerca dell'essenziale, materiali primari, comunità, racconto: le tracce di questa presenza visionaria nella cultura ufficiale sono ovunque, sono positive, sono necessarie, per sopravvivere al bordo di ogni mappa, per immaginare qualcosa al di là del muro. Between civilization and apocalypse, between decadence and progress, there lies a never-never land, a "before" and an "after" that frightens or inexplicably attracts us. Historians call it Prehistory, environmentalists Wilderness, philosophers Utopia, but more than a space in time or a time in space, it is a way of seeing the world through intuition, in flashes, an incoherent system of visions and ideas that helps us to think about the here and now. This "Pleistocene paradigm", from Giordano Bruno to Paul Shepard, from Lascaux to Keith Haring, cuts across scientific, philosophical and religious thought, emerges in art and in eating habits, and can be summed up in one un-demonstrable idea: we are who we once were, made for being on the move and being outside, we are genetic memory and the current incarnation of Paleolithic humans, our gestures and cognitive processes are inhabited by theirs. Mobility, lightness, dexterity, the quest for the essential, raw materials, community, storytelling: the traces of this visionary presence are ubiquitous in official culture; they are not only an asset, but also necessary for surviving on the edge of any map, for imagining something beyond the wall.
About the Author: Professore in geografia e antropologia all'Università di Palermo, Matteo Meschiari (Modena 1968), svolge dal 1990 ricerche sul paesaggio in arte, letteratura, etnologia e geografia. Ha contribuito in modo sostanziale allo studio del concetto di paesaggio nella storia delle idee, nell'antropologia culturale, nelle scienze cognitive e in filosofia. In particolare è impegnato nella divulgazione in Italia della Landscape Anthropology anglosassone ed è stato titolare dell'unico insegnamento in Italia di Antropologia del paesaggio. Da una prospettiva evoluzionistica, cognitiva e culturale ha studiato il modo in cui la pressione ambientale e le strategie di caccia e raccolta hanno contribuito a sviluppare in Homo dei moduli cognitivi paesaggistici, e ha scoperto come certi schemi mentali finalizzati all'orientamento e alla comprensione dell'ecosistema sono riutilizzati per organizzare culture, lingue, riti e cosmologie. In ambito antropologico e geografico si occupa più in generale di dinamiche spaziali, svolge ricerche di terreno sull'immaginario americano, con particolare riferimento alla Wilderness e ai processi di domesticazione spaziale, studia i modelli abitativi dalla preistoria all'epoca attuale e analizza le dinamiche complesse tra spazio, corpo e performance nella corrida. Nell'ambito dei Cultural Studies studia l'arte preistorica e il suo impatto sull'immaginario contemporaneo, in particolare ha analizzato i meccanismi con cui la società occidentale usa le immagini della Preistoria in funzione identitaria. In questo senso, ispirato dai lavori di Paul Shepard, ha utilizzato la formula "Paleolithic Turn" per indicare la tendenza della cultura occidentale a leggere il Paleolitico come specchio della contemporaneità. Scrittore militante per la difesa dell'ambiente, traduttore e divulgatore culturale, autore di poesia e narrativa, ha esordito pubblicando con Francesco Benozzo sulla rivista "Intersezioni" il manifesto "Scrivere paesaggi. Lettera di due poeti agli autori di fine Novecento" (1995), in cui auspicava la nascita di una "letteratura di puro passaggio", e al quale sono seguite alcune prove di scrittura a quattro mani. Negli anni successivi ha raccolto versi e prose letterarie di paesaggio, in particolare il poema epico "Terra", diffuso oralmente attraverso interpreti diversi.